L’urbanistica e una nuova legge da sperimentare in Toscana

Continua a rimbalzarmi nella testa una reminescenza liceale (corruptissima res publica plurimae leges) e, insieme, il titolo di un libro recente di Leonardo Benevolo, una lettura snella da consigliare a tutti: Il tracollo dell’urbanistica italiana, (Bari 2012). Coincide –il tracollo- con la regionalizzazione della materia urbanistica e con la fine di un dibattito nazionale. L’urbanistica e il territorio non sono più dal 1977 un problema nazionale ma solo regionale.

Il Paesaggio è rimasto un bene di tutto il paese e trova una sponda nell’organizzazione statale, (ministeri, soprintendenze), mentre per il territorio la stessa è stata smantellata. La prima conseguenza, forse meno importante, è che non esistono più urbanisti di livello nazionale, che abbiano il prestigio e l’esperienza per sostenere un dibattito ed orientare le scelte. Unici sono rimasti alcuni protagonisti sopravvissuti alla stagione degli anni 60 di riforma urbanistica (Cervellati, Benevolo, De Lucia...), altrimenti sui giornali per parlare di città e territorio si ricorre alle solite star dell’architettura attente solo alla trasformazione. La stagione della riforma urbanistica ha portato alla elaborazione di una serie di provvedimenti che hanno aggiornato la legge del 1942 (ancora vigente nonostante tutto!) intorno ai quali ruota l’intera pratica urbanistica con un disegno pubblicistico che, nel passare del tempo, si rivela sempre più lungimirante. Fra l’altro ha il merito di avere ispirato il film che bisogna rivedere leggendo il libro di Benevolo: Le mani sulla città di Francesco Rosi. È sufficiente la prima scena tanto è chiara. L’ing. Nottola con un bastone in mano, guardando da un poggio vuoto la città, traccia un rettangolo di 1 metro quadro e dice, più o meno: questo è l’oro e qui bisogna fare venire la città. L’oro è la trasformazione d’uso dei suoli da agricolo in edificabile, da ottenere attraverso il condizionamento delle scelte urbanistiche da parte dell’amministrazione pubblica. Purtroppo la stagione della riforma urbanistica non è riuscita a fare la legge sul regime dei suoli e, a distanza  di 50 anni, il problema resta sempre quello indicato dall’ing, Nottola. Forse ora l’aumento di valore nella trasformazione da agricolo (2 euro) in edificabile (500 euro in su) si può paragonare addirittura alla cocaina, come ci ricorda Saviano in uno dei suoi ultimi libri. I terreni, materia prima dell’urbanistica e della pianificazione, restano indisponibili e le amministrazioni, senza soldi, dovrebbero acquisirli come un qualunque operatore di mercato. Di questi problemi non si parla più, come si diceva in precedenza, anzi la proposta di legge Lupi, che dovrebbe diventare la nuova legge nazionale in sostituzione di quella del 1942, è una resa senza condizioni ad una logica che l’urbanistica ha sempre rifiutato. Si porta infatti il proprietario dei terreni all’interno delle procedure urbanistiche con diritti di iniziativa, prevalendo così la scelta contrattata sul disegno generale, il progetto sul piano, l’urbanistica fai da te sulla visione strategica. Pianificare non significa valorizzare, cioè rendere edificabili dei terreni acquisendo al pubblico una piccola porzione del grande aumento di valore prodotto. È un’attività complessa con la quale si organizza, nell’interesse generale, l’ordinata convivenza delle cose e delle persone, fra di loro e con il paesaggio e l’ambiente di riferimento. In questi anni le Regioni non sono state capaci di imporre decisioni allo Stato per modificare il regime dei suoli. L’unica cosa che hanno fatto sono le leggi e di queste siamo stati ampiamente subissati. Il risultato è che, per urbanistica, siamo in venti stati diversi ed è più facile lavorare in Francia che, per esempio, in Veneto. Ma a parte questo, un problema minore, l’attenzione si è spostata dai contenuti, la teoria e la pratica urbanistica, alle procedure amministrative. Abbiamo quindi vissuto in un mondo che ha continuato a ragionare secondo il linguaggio e le norme tradizionali e consolidate (notai, progettisti, certificati di destinazione urbanistica, imprese, magistrati, cittadini) e un altro, autoreferenziato, che ha parlato una lingua per pochi. Benevolo nel suo libro ricorda che per l’elaborazione di un piano urbanistico un tempo va per il progetto e più del triplo per ricerche, adempimenti e procedure del tutto inutili, ma necessarie per soddisfare tutti gli attori e le burocrazie. È la qualità degli amministratori, dei committenti e dei progettisti che fa un buon piano o un buon progetto. La Regione Toscana, sicuramente una delle più attente al tema del territorio, ha fatto la sua parte e negli ultimi venti anni, oltre a numerosi regolamenti che tralasciamo, ha approvato tre leggi regionali urbanistiche, di cui l’ultima recentissima il 30 ottobre. La prima nel 1995 è stata una vera riforma che ha diviso il Piano regolatore in due strumenti: il Piano strutturale, che aveva il merito di recuperare una visione strategica per i Comuni, e il Regolamento urbanistico che doveva semplificare il governo con  gestione più duttile delle previsioni. Poco sperimentata e poco capita, è stata sostituita dieci anni dopo da un’altra legge che precisava i contenuti e le caratteristiche del Piano strutturale e del Regolamento urbanistico, ma eliminando il concetto di Piano regolatore generale. La nuova legge mantiene il Piano strutturale ma non il Regolamento urbanistico, che si chiamerà Piano operativo, non è centrata sull’ambiente ma sul patrimonio territoriale e contiene norme per il contenimento del consumo di suolo giuste. Speriamo sia la risposta a Nottola e a Benevolo.
Ora teniamola però per almeno trenta anni, in modo da dare la possibilità agli uffici tecnici comunali, agli amministratori, professionisti, cittadini di capire e metabolizzare le varie norme e, di conseguenza, di credere nell’urbanistica e nelle scelte che si vanno a fare.

Giovanni Maffei Cardellini

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