Il nuovo piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana

L’adozione del nuovo Piano di indirizzo territoriale regionale (PIT), chiamato Piano paesaggistico forse per sminuirlo, ha scatenato reazioni da parte di gruppi di interesse, associazioni, Enti locali, sindacati, professionisti più basate su un immaginario piuttosto che sugli effettivi contenuti del piano, tanto da ritenere che vi sia un interesse nel demolirlo, estraneo alla propria funzione. Basti pensare che il Piano si suddivide in due parti: Statuto del territorio e Strategia dello sviluppo delle quali solo la prima è stata modificata, mentre la seconda è rimasta invariata rispetto al PIT del 2007, con tutti i vari porti, approdi turistici, corridoi autostradali, aeroporti, (molti programmati negli anni 80 del secolo scorso), dei quali niente si è sentito dire dai vari critici.

La più significativa di queste proteste è stata quella dei viticoltori, un vero e proprio regalo al Piano, in quanto accreditato del potere di condizionare scelte agronomiche che mai uno strumento a carattere territoriale si è sognato  o è riuscito a fare. In effetti il Piano non dà nessuna prescrizione, si limita a dire che sarebbe opportuno contenere l’erosione dei suoli limitando le sistemazioni secondo la massima pendenza (il famoso ritto-chino che già il Testaferrata nel periodo della costruzione del bel paesaggio toscano sconsigliava). Avendo imparato a trasformare porcilaie in villette o a sbancare colline per realizzare cantine si sono probabilmente stupiti che qualcuno osasse mettere bocca sulla disposizione dei filari.
La più strana, per lo meno nei modi, è quella dell’ordine dei Geometri di Lucca, i quali si sono affidati ad una lettera-fiume aperta a Renzi in un avviso a pagamento pubblicato su Repubblica. Si capisce da alcune espressioni tipo paesaggi-fossili che ci si riferisce ad un presunto conservatorismo del Piano, ma la lamentela resta sul generico, giustificandosi dietro la scusa della complicazione (concetti difficili) e della mole del piano (3000 pagine). In realtà corposo nel Piano è il Quadro conoscitivo (è stato definito una Treccani), ma la parte effettiva di indirizzi, direttive e prescrizioni è piuttosto scarna e riassunta per schede d’ambito territoriale, per cui basta leggersi quella del proprio contesto territoriale per capirne i contenuti. Nel caso dei geometri di Lucca, la Provincia è stata divisa in tre ambiti per cui è sufficiente la lettura di 6 (sei) paginette, nelle quali viene concentrata la Disciplina d’uso che resta sempre ad un livello di indicazione territoriale (scala 1/50.000) e concettuale di stimolo alla progettazione più attuativa, con larghi margini di adattamento e interpretazione, come sempre quando si passa dalla visione territoriale a quella più minuta delle trasformazioni urbane ed edilizie. Meglio avrebbero fatto i geometri a riflettere sul ruolo che hanno avuto nel qualificare o peggiorare il paesaggio.
Merito del Piano è superare l’idea che il paesaggio e l’ambiente siano un settore, rientrino in valutazioni che interessano ad una porzione limitata della società. Con il piano in discussione il paesaggio e l’ambiente, vale a dire la natura e la storia, le regole profonde che hanno caratterizzato la costruzione delle nostre comunità, diventano elementi con i quali confrontarsi per la definizione di scelte di pianificazione territoriale, degli indirizzi strategici e per lo sviluppo socio economico. Ne dovrebbe conseguire che il territorio non è più tutto trasformabile,  non è un’area bianca in attesa di valorizzazione economica tramite le previsioni e le trasformazioni urbanistiche. Diventa invece un palinsensto nel quale è scritto il codice genetico dell’intera comunità, da dove veniamo e dove vogliamo andare. La fine della mezzadria, del lavoro nei campi e l’inurbamento hanno prodotto una crisi culturale: non siamo più capaci, o fra poco non saremo più capaci, di gestire il territorio. Quello che prima era una cultura diffusa, il lavoro nei campi che garantiva il presidio paesaggistico, ora diventa un progetto da studiare, capire e governare. I problemi legati al tempo meteorologico bene evidenziano questi temi. Ogni volta gli eventi sono straordinari, per cui non si è potuto dimensionare o prevedere le contromisure adeguate. In realtà l’esperienza ci dice che non tutto il territorio è trasformabile e soprattutto non è trasformabile seguendo interessi o aspettative di breve respiro.
Finalmente, con il nuovo PIT e con il suo quadro conoscitivo, la Toscana non è più solo la collina delle immagini oleografiche, dei mulini bianchi, quella da vendere, ma è fatta anche di pianure, di coste, di monti che rappresentano storie e società locali varie, da guardare con una visione strategica aggiornata e più approfondita rispetto alle esperienze precedenti. È anche quella delle periferie urbane, di ambienti e paesaggi degradati, delle aree umide distrutte dagli interventi di trasformazione, con i quali è necessario confrontarsi e trovare gli strumenti per la loro rigenerazione. È questa una sfida decisiva sulla quale misurare la capacità di governo e invertire finalmente l’idea che si produca ricchezza solo con il consumo di suolo e di risorse ambientali. Dispiace quindi, ma speriamo che ci sia spazio nella fase di controdeduzione alle osservazioni, la timidezza con la quale vengono affrontati alcuni nodi delicati come il controllo delle trasformazioni d’uso, la riconversione delle aree produttive abbandonate, l’assetto delle coste con il tema dell’erosione, dei porti e degli approdi turistici che la provocano, la questione dei corridoio autostradale tirrenico.
Giovanni Maffei Cardellini

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