Tavarnelle Val di Pesa, Piano dell'area protetta di Badia a Passignano

Tavarnelle Val di Pesa, Piano dell'area protetta di Badia a Passignano

 

Committente: Comune di Tavarnelle Val di Pesa (Firenze)

Oggetto dell’incarico: Completamento della procedura istitutiva e redazione del Regolamento di Gestione dell'ANPIL Badia a Passignano

Data dell’incarico: 13.6.2006

Stato attuale della procedura urbanistica: Il Piano di Gestione è stato approvato dal Consiglio Comunale il 23.9.2008.

Progettisti: Antonello Nuzzo, Giovanni Maffei Cardellini, Alberto Montemagni, Daniele Pecchioli

“Nessuno storico può parlare del contado fiorentino senza menzionare la celebre abbazia di Passignano, nella Val di Pesa, le cui migliaia di pergamene conservate costituiscono uno dei tesori più sfruttati dell’Archivio di Stato di Firenze. Passignano si trova nella regione meridionale del contado fiorentino, vicino alla strada più frequentata nell’antichità e nel primo medioevo, tra la Val d’Elsa e la valle superiore dell’Arno. Dopo la trasformazione delle vie di comunicazione, cioè poco prima del 1300 e durante tutti i secoli successivi, la zona è venuta a trovarsi interna a una delle regioni più isolate e più difficilmente accessibili del dominio fiorentino. Tutte le grandi vie di comunicazione posteriori passano infatti lontane da Passignano. Oggi vi si arriva per mezzo di sentieri che attraversano vaste ininterrotte foreste, e sul lato meridionale di uno dei contrafforti delle alture di Sillano, verso la Pesa, su un piccolo corso d’acqua, il Rimaggio, s’incontra l’abbazia, un’imponente e solitaria fortezza. Anche l’altura dall’altro latodel Rimaggio è oggi coperta di foreste; sulla sua sommità si trovano alcune case, resti del castello di Poggio al Vento. (...)”

Questa descrizione è tratta da un famoso ed importante studio di Johan Plesner pubblicato negli anni trenta, tradotto e ristampato a Firenze nel 1979. Focalizza un territorio e un contesto storico-paesaggistico, che corrisponde a quello riportato nel Catasto d’impianto del 1939, una delle basi per capire i luoghi, le trasformazioni e le permanenze. Con la lettura delle cartografie si può fare un viaggio nel tempo, utile come riferimento per impostare le politiche di manutenzione e di restauro del territorio che dovranno qualificare la presenza dell’Anpil. L’osservazione delle carte e delle immagini conferma una continuità dell’assetto territoriale e una certa riservatezza che ha rallentato le trasformazioni che in altri casi hanno cambiato il paesaggio del Chianti. È anche il suggerimento di un metodo di governo e di progetto che non punti alla trasformazione ma piuttosto alla manutenzione e al restauro territoriale. Solo di recente si sono manifestate modifiche prodotte da fenomeni contrapposti: da un lato una tendenza all’abbandono di campi, di porzioni boscate o di complessi rurali e, dall’altro, un aumento di interesse, con l’industrializzazione di colture (vite) che cambia l’assetto di particelle del mosaico paesaggistico. Inoltre con il riuso turistico-residenziale che porta ad una privatizzazione della campagna con recinzioni e divisioni dei resedi, conseguenti alla trasformazione della residenza rurale, collegata al lavoro nei campi, in abitazione isolata di un ceto urbano. Con l’aumento delle unità immobiliari si tende a riprodurre il modello della villetta. Talvolta comporta una modifica delle componenti edilizie, in genere per assecondare un’idea del Chianti stereotipata che nasce fuori dal Chianti stesso, con interpretazioni vernacolari di gronde, aperture, archi, finiture. Tutti aspetti sui quali la presenza dell’Anpil può giocare un ruolo positivo di controllo e di stimolo per integrare più attività economiche e per individuare gli obiettivi di interesse generale, condivisi, utili per la manutenzione e la conservazione dei luoghi e del patrimonio edilizio. 

USO DEL SUOLO E PERMANENZE INSEDIATIVE E PAESAGGISTICHE

Prima che venisse smantellata, con la soppressione degli ordini religiosi e la vendita dell’abbazia nel 1870, la proprietà Vallombrosana nel 1832 aveva raggiunto la dimensione di 653 ettari organizzati in 24 poderi, che facevano capo a Passignano, e in 14 poderi, che facevano capo a Poggio al Vento. All’epoca il bosco occupava il 70% del territorio, i pascoli erano il 5% e il 25% era quasi tutto di seminativi arborati con viti e olivi. Nel secondo dopoguerra il territorio era ancora organizzato in modo simile con i boschi che coprivano il 64% del territorio, i pascoli il 2% e il 34% erano i seminativi sempre in buona parte arborati (viti e olivi). Il paesaggio ammirato dal danese, dunque, era molto simile a quello prodotto dai vallombrosani con un lungo processo, avviato dall’alto medioevo, che aveva portato all’appoderamento del territorio, alla larga diffusione del bosco e all’introduzione delle coltivazioni arborate, olivi e viti in filari, con terrazzamenti e sistemazioni idrauliche dei versanti.  La perimetrazione dell’Anpil individua il cuore del sistema vallombrosano che, come detto, si muoveva intorno ai due nuclei principali di Passignano e Poggio al Vento; è costituito da versanti integralmente boscati e da aree con sistemazioni agrarie tradizionali. Complessivamente l’ambito perimetrato misura circa 364 ettari e, di questi, 260 ettari, pari al 71%, sono boscati, mentre 67 ettari, pari al 18%, sono coltivati con vigneti e oliveti. Un paesaggio che mantiene una sua netta peculiarità e identità rispetto all’intorno e una forte coerenza con l’assetto tradizionale, che solo ora rischia di subire trasformazioni che devono essere, come detto in precedenza, adeguatamente controllate. Nell’ambito dell’ANPIL  sono ovviamente compresi la Badia a Passignano e Poggio al Vento, e vari complessi rurali che appartenevano all’antica organizzazione vallombrosana di origine medievale. Case torri a sviluppo verticale con impianto semplice, pianta quadrata o rettangolare, con rivestimenti murari accurati in bozze di pietra scarpellinate, disposte in filaretti. Attualmente le torri si trovano in genere inglobate in complessi colonici che hanno subito nel tempo rimaneggiamenti ed alterazioni. Già con lo sviluppo della mezzadria nei secoli XI-XIV alle torri si affiancano altri ambienti distribuiti in senso orizzontale, pianta rettangolare su due piani, in muratura di pietre a vario taglio, con tetto a capanna. L’abitazione è al piano primo, mentre al piano terreno vi sono vani per gli attrezzi e gli animali.  Con la crescita in epoca moderna, spontanea e continua, le masse si giustappongono e si intersecano disponendosi intorno al nucleo centrale più antico con aggiunte successive e adattamenti. Generalmente a più livelli, talvolta con torre colombaria, logge e scale esterne. Le aperture sono rettangolari e in genere più ampie delle precedenti, i muri sono in pietra mista con laterizi, spesso intonacati, le coperture a capanna. In questo periodo si sviluppano annessi in muratura staccati dal corpo principale, che articolano ulteriormente l’organizzazione del complesso edilizio. Sono presenti anche nuclei realizzati in epoca lorenese, progettati sulla base di indicazioni di architetti dell’amministrazione granducale o secondo più classici canoni estetici ispirati, semplificandole, alle ville buontalentiane. Sono edifici a pianta regolare e compatta con tetto a padiglione. Prevale la geometria delle pareti intonacate scandite dall’ordinata disposizione delle finestre e, talvolta, da una o più logge. Gli spazi sono più ampi con una distribuzione razionale, che vede l’abitazione al piano primo, la grande cucina in genere al piano terreno, dove si trovano anche, separati, gli ambienti per gli animali, per gli attrezzi e per il lavoro, (che sostituiscono in genere i loggiati aperti), ai quali si accede da ampie aperture. Per la loro semplicità e chiarezza architettonica sono quelle soggette ad interventi di maggiore trasformazione.

EMERGENZE E TESTIMONIANZE STORICHE E PAESAGGISTICHE: PERCORSI, INSEDIAMENTI RELIGIOSI E RURALI

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