Pistoia, Piano strutturale

Committente: Comune di PISTOIA
Oggetto dell’incarico: Funzioni e invarianti del Piano strutturale comunale con particolare riferimento agli insediamenti storici
Data dell’incarico: 29.12.2000
Stato attuale della procedura urbanistica: Il Piano è stato adottato il 26.2.2002 e approvato il 19.4.2004 
Consulenti: Pier Luigi Cervellati, Giovanni Maffei Cardellini, Alberto Montemagni, Daniele Pecchioli.

Il lavoro si basa su una cartografia digitale dell’intero territorio comunale, qui riprodotta, realizzata in 31 tavole a scala 1:4.000, costruita attraverso il confronto fra catasto leopoldino (1822-1824-1837 ridigitalizzato e georeferenziato, rimasto solo materiale di studio), catasto d’impianto del 1953 e stato attuale. Si ha così la sequenza evolutiva negli ultimi due secoli della città, dei borghi, dell’edilizia sparsa e dell’ambiente agricolo-naturale ad essi connesso.

L’analisi ha messo in rilievo, oltre ai caratteri degli insediamenti, la “struttura” del territorio (fiumi, canali, fossi, capezzagne, rilievi e crinali principali, viabilità) e gli elementi che caratterizzano il paesaggio (oliveti, boschi, agricoltura di pianura, di collina con muri a secco, terrazzamenti, prati e pascoli). In questo modo si è visualizzata l’identità dei luoghi, che è definita dalla struttura territoriale e da ciò che è rimasto invariato e quanto è stato mutato. La cartografia di riferimento individua “permanenze”, cioè le invarianti e tutte quelle zone o parti in cui gli interventi ricadono nella sfera della manutenzione e del restauro. Definisce i perimetri  necessari per una oggettiva valutazione dei centri storici. Individua i limiti urbani e dei borghi, diventati con la L.R 65/2014 un obbligo, mentre i “segni” storici diventano guida per il riordino dell’urbanizzato. Perimetra altresì le aree da rinaturalizzare nella pianura e nella montagna. Mentre nelle aree maggiormente trasformate, quelle in cui si deve rigenerare il territorio, il recupero del tessuto edilizio si deve connettere con interventi di rinnovo per organizzare e localizzare le necessità, le funzioni e i servizi tesi a riqualificare la periferia in città.

Alla cartografia è affiancato un Atlante delle permanenze, che ha la funzione duplice di guida alla lettura della Carta e di regesto dei tipi storico-geografici del territorio comunale. Raccoglie un sistema diffuso di valori: puntuali (edifici storici, ville, pievi manufatti vari per l’organizzazione territoriale), lineari (corsi d’acqua, viabilità, alberature, prode, cavedagne, disegni dei campi), aree (boscate, umide, di interese naturalistico, storico-paesaggistico), che si sono determinati nel tempo e sono ancora oggi individuabili tramite la lettura storico-cartografica. Diventano categorie di beni la cui trasformazione irreversibile produce una perdita dei caratteri che determinano lo spirito e la specificità culturale e ambientale del territorio pistoiese. Insieme sono gli elementi territoriali che, con le loro relazioni, costituiscono la base per la definizione e il riconoscimento dell’identità territoriale; per questo si definiscono invarianti strutturali.

Le risorse acquifere:

Fiumi, torrenti, rii, canali e i loro elementi costitutivi (alvei, argini, briglie, formazioni ripariali, opere di regimazione idraulica), Specchi d’acqua, Sorgenti di acqua potabile

Le acque rappresentano la trama e il filo che collega i diversi ambienti del territorio pistoiese. Rispondono a caratteri naturali, soprattutto i corsi d’acqua principali, che hanno contribuito a modellare la morfologia del territorio, quella degli insediamenti e delle infrastrutture. Ma anche a caratteri prodotti dall’uomo a seguito di interventi di regimazione idraulica, prima dei quali per esempio ancora nel XVII secolo si riscontravano paludi nelle parti più basse del piano e in prossimità della città. All’età lorenese risale la sistemazione idraulica della pianura pistoiese con la regimazione dell’Ombrone, che resta in parte instabile durante il settecento. Ma soprattutto nell’ottocento si procede ad una notevole bonifica di monte, sistemando tutto il bacino idrografico del fiume, mediante la realizzazione di circa “150 serre, alcune murate, altre di palafitte e muri in secco su tutti gli affluenti dell’Ombrone per evitare le corrosioni e le frane incessanti delle pendici tra le quali le acque scorrono precipitose”. (Pietrini 1821) Le bonifiche di montagna e, conseguentemente, di pianura consentirono la migliore organizzazione della rete viaria incentrata sulla città, la crescita insediativa nei borghi e nelle Cortine.  Fra il 1818 e il 1838 infatti la popolazione rurale aumenta di circa 30.000 unità per l’accresciuta produttività e specializzazione delle coltivazioni che consentì la diminuzione dell’estensione delle unità poderali. Questo anche a spese delle unità degli enti ecclesiastici soppressi. Le sistemazioni idrauliche di montagna e di pianura consentirono il disegno definitivo del territorio intorno alla città, premessa per l’attuale configurazione. I corsi d’acqua sono segni direttori degli ambienti che attraversano e gli elementi di riferimento fondamentale per gli interventi di restauro e ristrutturazione territoriale e di riqualificazione degli insediamenti. Si trasformano, soprattutto in pianura, da elementi di organizzazione del territorio in monumenti del paesaggio.

Le aree di valore storico ambientale e paesaggistico:

La struttura geometrica dei coltivi (redole, capezzagne, fossetti, prode); le sistemazioni arboree tradizionali, le alberate

Esiste un’intima relazione tra uso del suolo a fini agrari, il conseguente disegno della trama dei campi, la regimazione e il controllo delle acque necessarie per l’irrigazione e la costruzione degli edifici di pertinenza al fondo con i relativi annessi agricoli. L’indagine cartografica ha permesso di individuare all’interno delle aree agricole una trama significativa di segni (redole, capezzagne, fossetti, prode) che, dove si sono conservati, possono essere distinti da elementi più recenti che hanno seguito logiche diverse e lontane dai principi che regolavano l’assetto storico. Si identificano ambiti nei quali persiste un’agricoltura più tradizionale dove gli aspetti produttivi riescono a coniugarsi con il mantenimento delle forme paesaggistiche originarie. Ne sono l’esempio i campi rettangolari con grandi fossati di testata, spesso ai lati di una via campestre, fosse di scolo in verticale, delimitate dalle prode, percorsi da filari alberati di pioppo, aceri campestri, olmi, alberi da frutto, gelsi, che erano i sostegni delle viti sistemate a festoni. In questi contesti quindi l’importanza del presidio ambientale e del paesaggio, dovrebbe prevalere sugli aspetti agricoli produttivi. Il paesaggio storico in quanto espressione di valori non tanto estetici, ma civili e quindi di una organizzazione territoriale consolidata dalle esperienze conoscitive della comunità, diventa determinante per il controllo delle trasformazioni e per il migliore inserimento degli insediamenti diffusi. Quindi per una migliore tenuta del territorio stesso. Soprattutto in pianura dove mancando forti condizionamenti ambientali si tende ad intervenire come su fogli bianchi. Qui i segni storici possono diventare guide fondamentali per qualunque intervento (di conservazione o di trasformazione) rappresentando, in sintesi, l’antica arte di stare su questi territori. Le sistemazioni arboree tradizionali rappresentano un elemento specifico della tradizionale sistemazione della campagna e contribuivano a determinare lo stupore di viaggiatori o cronachisti sette/ottocenteschi che definivano, il pistoiese, territorio bellissimo, fertile e salubre, unico in Toscana. Anche se al bel paesaggio dell’alberata non sempre si riteneva corrispondessero effettivi progressi agronomici e tecnici (“ignari dei sistemi agrari sovente più belli alla immaginazione che felici nelle risultanze”, Contrucci 1839). Il fenomeno dell’alberata si era inserito nell’agricoltura sotto forma di filari lungo le strade, i canali, sfruttando così i margini dei campi per produrre legno, frasca da foraggio, ombra o appunto per abbellimento del contesto. Questi popolamenti si sono insediati poi nelle aree lasciate dalle esondazioni dei fiumi, come le aree di golena, dove si trovano ancora oggi. Forse hanno contribuito alla nascita del vivaismo, al gusto e alla passione del giardinaggio, che si sviluppa dall’ottocento partendo dagli orti cittadini e dai primi terreni esterni per poi diffondersi su tutto il territorio.

Le colture arboree tradizionali di collina (oliveti, vigneti e frutteti); Terrazzamenti, ciglionamenti, muri a retta

Il territorio collinare pistoiese era quello che più impressionava per presenza di coltivazioni, agglomerati abitativi, ville anche di grande pregio e per una organizzazione non inferiore alle migliori della Toscana. Si strutturava nella tipica Fattoria con villa padronale e poderi condotti a mezzadria della dimensione media fra i 15 e i 25 ettari che potevano diventare di 4 o 5 ettari nelle zone più redditizie. Nella lettura del catasto leopoldino in gran parte le particelle collinari vengono definite come terreno seminativo vitato, olivato, fruttato e gelsato. Infatti le colline sono “ricche di uliveti, di vigne e di frutti che rendono il suolo più delizioso di ville e di bene ordinate coltivazioni, che abbelliscono i contorni della città” (Fantoni, 1828). Le colture arboree specializzate quindi caratterizzano in particolare modo il paesaggio di origine storica delle aree collinari. Gli oliveti (in coltura intensiva e in coltura più o meno estensiva associati con colture erbacee) si distinguono per la disposizione regolare, per le chiome scure e rotondeggianti e gli impianti, anche recenti, conservano le tipologie tradizionali. I vigneti si trovano più specializzati o ancora intercalati da sostegni vivi, e si distinguono in base alla regolare disposizione in filari. I frutteti, meno scuri degli oliveti, sono anch’essi caratterizzati per i sesto di impianto regolari e segnano la presenza in genere di una attività più intensiva. In collina si è dunque stabilito un rapporto dialettico tra forme naturali e modifiche impresse dall’uomo. Nei primi rilievi più morbidi il paesaggio è caratterizzato da sistemazioni di campi aperti con siepi che delimitano confini, strade, con superfici boscate, e viti talvolta maritate, con presenza di pioppi, olmi, ciliegi secondo l’andamento del terreno. La sistemazione agraria tradizionale però si ha nelle parti collinari, nelle quali le pendenze non permettono la modellatura di campi di forma rettangolare o triangolare con fosse laterali e solchi intermedi, ma il terreno viene sistemato a terrazze con muri a secco o ciglioni erbosi. Formano un tipico disegno e una trama costituita dall’alternarsi di strisce coltivate parallele ordinate secondo filari, che segnano anche l’andamento altimetrico del terreno. I muri in pietra si trovano prevalentemente nei versanti con pendenze più sviluppate, mentre con pendenze più dolci si trovano soprattutto i ciglioni erbosi. Questi, più difficili da mantenere essendo soggetti a smottamenti, sono un elemento di salvaguardia del territorio limitando la discesa violenta delle acque. I muri a retta di contenimento dei terrazzi sono di solito realizzati con scaglie di pietra locale, sassi e ciottoli, disposti ad opera incerta con muratura a secco o leggermente interrata. Nonostante una forte resistenza, la trasformazione del paesaggio collinare tende a manifestarsi con la scomparsa del modello di organizzazione sociale, con i processi di abbandono e di smembramento fondiario, con le riconversioni produttive. È necessario quindi un impegno della collettività che sia capace di trovare un punto di equilibrio fra le esigenze moderne e la razionalità ambientale delle sistemazioni consolidate, le risorse e gli stimoli -che passano anche dalla conoscenza- per conservare e ripristinare un patrimonio che rappresenta una ricchezza anche economica.

Le selve, le aree boscate e i castagneti, i prati, pascoli di altitudine e crinali

Il territorio montano pistoiese è tipicamente appenninico. È caratterizzato da ripide discese verso la pianura, da zone accidentate e da valli fortemente e profondamente incise lasciando pochi spazi a colture estensive, pregiate e specialistiche. Nelle parti più elevate si trovano i boschi di abeti ma soprattutto predominano le faggete con cerri, farnie, lecci e, alle quote più basse, nell’ambito degli insediamenti, i castagneti da frutto: la più importante risorsa alimentare per gli abitanti della montagna. In prossimità degli abitati, in genere accentrati, il bosco si diradava per lasciare il posto a piccoli campi coltivati con cereali, patate, legumi, orzo, segale. La montagna non fu toccata dalla colonizzazione cittadina che aveva realizzato l’appoderamento mezzadrile collinare, ma i comportamenti e l’uso del suolo furono caratterizzati da una forte presenza di usi civici. Dopo le prime riforme lorenesi, si diffuse una piccola proprietà sparsa e parcellizzata e, dopo l’alienazione di beni granducali ed ecclesistici, si formarono alcune grandi proprietà concentrate nelle mani di importanti famiglie. Questo territorio, storicamente forse il più povero del contesto pistoiese, mantenne nel tempo una sua vitalità e un ruolo come luogo di produzione di beni importanti (legname, poi il ghiaccio), di attività produttive (ferriere, lavorazioni tessili, stagionali) e mercato per produzioni in eccesso della pianura, come luogo di possibile rifugio e perfino contrabbando. Nella seconda metà del settecento fu incentivato il taglio dei boschi per ricavarne legna da ardere, da costruzione e da carbone. Si produsse un eccessivo disboscamento, in particolare proprio da parte dei grandi proprietari fornitori della Magona, che provocò problemi di ordine idraulico e geomorfologico. “Se i proprietari avessero posto cura di sostituire alle vetuste, novelle piante nell’alto Appennino i nipoti loro non vedrebbero le piogge portarsi ruinosamente le terre, sprofondarsi i monti, e far delle valli precipizio, come io stesso ho visto” (Contrucci 1839). Già dalla fine del settecento ma soprattutto dopo la seconda metà dell’ottocento forti rimboschimenti, seguiti a piani di assestamento, invertirono la tendenza contribuendo alla formazione degli ampi complessi boscati, alcuni dei quali demaniali, che caratterizzano ancora oggi il territorio.

I centri storici:

Pistoia vedi http://www.pianiregolatori.it/progetti-di-architettura-e-restauri-di architettura/item/pistoia

I borghi sparsi

Per la catalogazione dei borghi sparsi si è seguita la divisione delle quattro Comunità, poi riunite al capoluogo per formare il Comune moderno, ma che ancora alla data del catasto leopoldino rappresentavano l’organizzazione amministrativa del territorio. I borghi di pianura sono di diverse dimensioni, sviluppati lungo le viabilità principali o a partire da un caposaldo: una fattoria/villa, più spesso una pieve. I borghi di collina e di montagna, sono in genere più strutturati dei precedenti, in quanto condizionati nel loro insediamento dai caratteri morfologici e dalle diverse funzioni. Si collocano nelle aree più montane, in forme lineari allungate, nei fondovalle o lungo le viabilità principali. Oppure in posizione di mezza costa sulla linea delle risorgive e del controllo delle acque, talvolta ramificandosi nei piccoli altopiani che completano la morfologia appenninica. Nelle aree collinari più prossime alla città e in quelle di minore altezza gli insediamenti si sviluppano in posizione di crinale, spesso sui secondari, o ancora di mezza costa o nei fondovalle dove si concentravano gli opifici, i mulini e gli edifici per le attività produttive e di trasformazione dei prodotti agricoli. La lunga autonomia amministrativa ha consolidato piccoli sistemi insediativi organici, con ruoli e funzioni interne distinte, nelle valli della Brana, della Bure di Baggio e nella Bure di Santomato o nella valle dell’Ombrone lungo l’antico itinerario per Porretta, collegati da una trama estesa di viabilità minore, in genere di pregio paesaggistico. Altro sistema insediativo organico è quello lungo la strada modenese, la più importante infrastruttura appenninica del diciottesimo secolo, lungo la quale si sono consolidati centri prima per le funzioni di posta con locande, botteghe con fabbro e maniscalco, dogana (Pracchia), poi come centri per la produzione e il trasporto del legname, del carbone, del ghiaccio, per la lavorazione del ferro e, infine, come centri di richiamo turistico (Piazza, Cireglio, Castello di Cireglio, Le Piastre, Pracchia)

La cartografia riunisce gli insediamenti con l’ambiente di riferimento. Consente quindi una lettura analitica e comparata fra forma e carattere dell’edificato in relazione alla morfologia fisica dell’ambiente circostante, al rapporto con le acque, con la vegetazione, con le sistemazioni agrarie. In questo modo si può affrontare con un linguaggio unico la complessità del territorio. Si rapportano storia, natura, trasformazioni e funzioni recenti che solo se stanno insieme possono portare a regole attente e condivise, in quanto prodotte e riconosciute dalla collettività stessa, per la migliore conservazione e l’adeguamento del territorio alle nuove necessità. La lista dei borghi:

Cortina di Porta San Marco: Chiesina Montalese, Baggio, Bigiano, Candeglia, Ciriegiano, Cignano, Iano, Germinaia, Le Pozze, Lupiccian, Ponzano, Santomato, Santomoro, Villa di Baggio

Cortina di Porta al Borgo: Arcigliano, Cassarese, Castello di Cireglio, Cireglio, Barbatole, Burgianico, Castagno, Gello, Gora, Le Grazie, Le Piastre, Piazza, Piteccio, Pracchia, San Felice, San Giorgio, Sammommé, San Pietro in Brandeglio, San Romano, Sarripoli, Saturnana, Torbecchia, Uzzo, Villa di Castagno, Villa di Fabbiana, Villa di Piteccio;

Cortina di Porta Lucchese: Cireglio, Castelnuovo, Gabbiano, Groppoli, San Pantaleo, Pillone, Ramini, Spazzavento, Solaio, Sala, Vicofaro, Vincio;

Cortina di Porta Carratica: Badia a Pacciana, Bonelle, Canapale, Chiazzano, Masiano, Nespolo, San Pierino Casa al Vescovo, Piuvica 

Le pievi e l’architettura religiosa, le ville, le fattorie, i castelli

Le Pievi e l’architettura religiosa, oltre che beni architettonici, rappresentano elementi di riferimento e di organizzazione territoriale. La Chiesa infatti al ruolo di diffusione dei valori religiosi accompagnava il controllo sul territorio in quanto gli ordini religiosi possedevano le risorse produttive. Ancora alla metà del settecento erano proprietari di oltre il settanta per cento dei terreni di pianura e solo con le soppressioni granducali del 1777 e le riforme di de’ Ricci furono messi in circolazione circa il 50% dei beni ecclesistici.

La villa ha per lungo tempo unito la funzione di rappresentanza a quella direzionale delle attività agrarie nei poderi, in quanto centro della Fattoria con la quale si gestiva il territorio. Nel tempo ha quindi sostituito integralmente in questo ruolo i centri ecclesisastici, soprattutto dalla fine del settecento, quando ne viene fortemente ridimensionata la proprietà. La villa si definisce per le caratteristiche architettoniche, l’impianto tipologico, ma anche per la sua valenza paesaggistica, soprattutto legata alle varie “pertinenze”: giardini e parchi; annessi specialistici quali scuderie, carraie, cantine, limonaie, forni; il territorio organizzato in poderi con le relative sistemazioni agrarie; i viali di accesso e di visita ai parchi; la trama delle viabilità poderali; i muri di cinta che disegnano il territorio. Le ville hanno rappresentato anche luoghi di piacere e di affermazione del proprio prestigio, contribuendo soprattutto nell’ottocento a modifiche paesaggistiche con l’affermarsi di un gusto romantico che ha portato ad introdurre piante ornamentali, a trasformare il giardino all’italiana secondo i canoni inglesi con l’inserimento nel contesto di laghetti artificiali, ruscelli, rocce e orridi artificiali. Le ville si collocano in genere in posizione di crinale o di mezza costa lungo tutto l’arco collinare che circonda la città e, nelle prime propaggini, si accomodano in leggero rilievo, sempre con l’esposizione della facciata principale rivolta a sud e verso la città. Non sono presenti in montagna e, salvo pochi casi, in pianura.

La rete viaria poderale, le case coloniche, gli opifici, gli edifici per la trasformazione dei prodotto agricoli

Il confronto fra il catasto ottocentesco con le cartografie più attuali del territorio pistoiese evidenzia come la rete viaria minore sia quasi integralmente costituita dai tracciati storici. Rappresenta la rete capillare delle relazioni, talvolta interrotta o resa difficoltosa dai tagli dei nuovi assi di collegamento di valenza intercomunale. In generale insieme ai canali e alle acque, ai crinali e alla morfologia, alla vegetazione e alle sistemazioni agrarie, ai capisaldi funzionali, le ville e le pievi, agli insediamenti poderali, formano quindi la struttura territoriale. In pianura le strade si disegnano secondo larghe trame irregolari che corrispondono alle logiche dell’antica organizzazione agricola e all’articolazione poderale. Spesso sono tangenti ai corsi d’acqua e rispondono ad una gerarchia determinata dal collegamento con i capisaldi religiosi, matrice di insediamenti maggiori recenti, o con i centri specialistici della trasformazione dei prodotti agricoli. Gli edifici dei poderi si affacciano sulla viabilità in relazione alla posizione del sole, essendo in genere sempre collocati con il fronte principale e l’aia, verso sud sud/ovest. Offrono il lato principale se si collocano a monte della strada, il retro se a valle. Il fianco se la strada segue l’orientamento nord-sud. Talvolta dalla via principale si stacca perpendicolarmente un tratto rettilineo che collega funzionalmente la colonica e, da qui i tracciati poderali minori. Questa regola insediativa che governa il rapporto strada edificio rurale non viene rispettata quasi mai negli insediamenti più recenti per sfruttare al meglio le potenzialità fondiarie del lotto. Per questo con un semplice colpo d’occhio osservando la disposizione planimetrica  degli edifici è possibile distinguere in cartografia l’intervento storico dal recente. Gli edifici dei poderi sono caratterizzati in pianura dalla struttura lineare con tetto a due spioventi. Possono essere per una o più famiglie e in questo caso si compongono moltiplicando il tipo di base e allineandosi di fronte all’aia comune, sempre ammattonata. Gli annessi sono quasi sempre giustapposti e, nel caso di più abitazioni unite, occupano i lati caratterizzando l’architettura con le varie forme delle aperture. In questo caso però la carraia al piano terreno si può trovare in posizione centrale. La cucina è al pianterreno e vi si accede per un piccolo corridoio da cui partono le scale per il piano superiore. Il portico per carri e attrezzi a piano terreno è ampio e sopra si colloca il fienile, areato con finestre a lunette e con mandolato, mentre in genere sono assenti le colombaie. Le abitazioni sono intonacate e sono realizzate di sassi e calce e sempre più mattoni nelle costruzioni più recenti. Raro è il tipo a quattro spioventi con pianta più quadrangolare, più proprio della campagna vicina a Firenze. Nell’alta collina e in montagna le abitazioni rurali tendono a raccogliersi nei borghi e più rade sono le abitazioni sparse sui fondi. Possono invece affiancarsi una all’altra in schiere che costituiscono un lato di una strada di paese o un agglomerato isolato. Le case in pietra e calce sono in genere di due piani e solaio, con scale interne di pietra e tetto a due spioventi. Al piano terreno si trova la cucina, in posizione centrale nelle case isolate, la stalla, la dispensa e la cantina, al primo piano le camere e il salotto, nel solaio altre camere e il fienile. Se l’edificio è ad un piano, nel superiore si trova anche il granaio, mentre il fienile è staccato dall’abitazione. Se esiste la carraia viene incorporata nell’abitazione. Nei tipi edilizi originari in cucina si trovava anche il metato, altrimenti nei boschi con le capanne o in prossimità dell’abitazione. Il rustico si può trovare anche staccato dall’abitazione. Nel caso di costruzione in pendio gli ingressi possono essere separati e con scala esterna.

Viabilità storica, sentieri e mulattiere

In collina e in montagna vi è una fittissima trama di percorsi che rispondeva, oltre che ai collegamenti fra i centri principali, i borghi della collina sottostante e gli insediamenti sparsi, alle necessità della cultura agro-silvo-pastorale e alle attività economiche che nel tempo sono scomparse. Anche la realizzazione della strada Ximeniana contribuì a selezionare i percorsi e le viabilità che si connettevano ad essa a scapito di altri ambiti territoriali. Nel lavoro di analisi è stato compiuto un notevole sforzo per recuperare i tracciati scomparsi e per identificare nel modo più completo possibile la struttura viaria. In collina i percorsi minori partono dai centri più importanti con uno schema a raggiera per scendere verso la pianura. Dove consentito dalla pendenza si seguono i crinali secondari, altrimenti si tagliano le curve di livello con tornanti fino a raggiungere i falsopiani del piede collinare e le viabilità di fondovalle. In montagna seguono di norma le curve di livello o i crinali secondari, talvolta con forti pendenze. Le difficoltà del tracciato sono accompagnate da notevoli opere d’arte con muri di sostegno, gradoni, tornanti realizzati con tecniche edilizie tradizionali in pietra locale, che complessivamente le rendono oggetti di pregio costruttivo e architettonico.

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