Barroso e l’IKEA a Vecchiano

Barroso e l’IKEA a Vecchiano

Tutti ricordano la vicenda dell’IKEA a Vecchiano. La sua mancata realizzazione è stata considerata un buon esempio del perché in Italia c’è la crisi: gli stranieri non investono capitali per l’incapacità delle amministrazioni di decidere. La burocrazia blocca gli investimenti e impedisce di creare posti di lavoro. La recente uscita del Presidente Barroso, che ha richiamato l’episodio nei termini precedenti, rischia invece di qualificarlo come l’esempio con il quale si misura la superficialità dei nostri tempi.

La notte di Natale del 2009 il Serchio, lungo il corso del quale si estende l’intero territorio vecchianese, ha rotto gli argini ed è dislagato nella pianura di Migliarino. Trenta milioni di metri cubi d’acqua si sono riversati nel territorio. Per capire meglio la quantità si può tradurre in bottiglie: 40 miliardi di bordolesi. Un anno dopo, nel dicembre 2010, l’Autorità di bacino del fiume Serchio ha adottato il piano di Assetto idrogeologico elaborato con modelli idraulici aggiornati. L’area dove sarebbe dovuto sorgere il complesso IKEA è classificata con il massimo livello di pericolosità e ad alta probabilità di inondazione: inedificabile. Sentenza che ha chiuso, già da un anno, le polemiche che si protraggono. Ecco che ci si sarebbe aspettati dal Presidente un encomio: finalmente un’amministrazione che non ha svenduto il proprio territorio, ha ragionato non solo in termini di incassi di oneri, ma ha pianificato in modo consapevole e prudente, evitando il solito conto dei danni ad alluvione avvenuta.

Proprio pianificare è la parola chiave di questa storia. Il dibattito -IKEA si o no- è stato in realtà il confronto dialettico fra programmazione degli interventi o urbanistica fai da te, fra il disegno generale o la singola scelta contrattata, fra piano o progetto. Pianificare non significa valorizzare, cioè rendere edificabili dei terreni acquisendo al pubblico una piccola porzione del grande aumento di valore prodotto. È un’attività complessa con la quale si organizza, nell’interesse generale, l’ordinata convivenza delle cose e delle persone, fra di loro e con il paesaggio e l’ambiente di riferimento. Prevede obiettivi generali di assetto territoriale e un metodo paziente basato su conoscenze e confronti. Da questo metodo è escluso lo scegliersi da soli 37 ettari di terreni agricoli e decidere, sempre da soli, che quelli diventeranno edificabili. Questo è invece quello che è successo nel caso di Migliarino di cui stiamo parlando. E stiamo parlando non di una abitazione ma dell’ipotesi di realizzare un mega complesso commerciale dal forte impatto paesaggistico, ambientale e funzionale,  in termini di mobilità e di convivenza con l’abitato di Migliarino e con il limitrofo Parco regionale. Quando dall’amministrazione comunale è stato proposto di spostare l’intervento in terreni già a destinazione produttiva non si è presa nemmeno in considerazione l’ipotesi. Il vero interesse non stava nell’attività produttiva, ma nel trasformare in edificabili 37 ettari di terreni. Un terreno agricolo oggi vale 5 euro il metro quadro; se reso edificabile, ad essere prudenti, il valore diventa di 300 euro il metro quadro. È facile dunque fare la moltiplicazione 300 per 370.000 e capire l’enorme valore che si ottiene con il solo cambio di destinazione. Non è neppure necessario fare l’intervento, tanto in banca si trovano i soldi e qualunque bilancio viene sistemato. Imporre scelte urbanistiche è un metodo non solo sbagliato, ma al di fuori del corretto comportamento fra pubblica amministrazione e altre attività economiche o fra pubblica amministrazione e cittadino che non capisce perchè lui non può fare determinati interventi o non ha il suo terreno edificabile. La pressione svolta sull’opinione pubblica ha accentuato la scorrettezza del metodo. La pubblicità del progetto sui giornali ha dato per scontato la possibilità di attuazione dell’intervento. Nessuno ha pensato che si stesse in realtà parlando di terreni agricoli e inedificabili. Per renderlo più appetibile è stato chiamato, con la solita ironia, parco commerciale San Rossore Pisa, sottotitolo Parco artistico di Vecchiano. È rimasta quindi l’idea delle ottocento assunzioni previste alle quali solo i lacci e i lacciuoli comunali si sono opposti. È come fare una pubblicità per la realizzazione di un nuovo complesso in Piazza dei Miracoli, in grado di portare soldi ed occupazione ed oltre tutto di risparmiare la noia e i costi di manutenzione del prato. In questo esempio l’assurdità della proposta è chiara, ma il metodo è lo stesso usato per Vecchiano. Al di fuori delle regole di mercato tanto sbandierate. Non c’è bisogno dell’IKEA per capire che rendere edificabili terreni fra Pisa e Viareggio, lungo l’Aurelia, all’uscita dell’autostrada è un grande affare. Anche per questo si pianifica, per creare le condizioni di mercato che mettano gli imprenditori sullo stesso piano e per cui siano chiare le regole, senza bisogno di favori contrattati, sulla base delle quali decidere o meno dove localizzarsi.

Due punti della vicenda devono però essere precisati.

1) L’interlocutore non era l’IKEA. Per una amministrazione è molto importante sapere chi fa una operazione immobiliare, serve per capire i caratteri dell’intervento. O per capire in caso di chiusura delle attività che cosa può succedere dei capannoni e dei volumi realizzati o magari non completati, come sempre più spesso si vede lungo le strade. A Vecchiano l’IKEA non si è mai presentata direttamente. L’intervento è sempre stato prospettato da un Consorzio di Costruzioni, con i suoi tecnici locali.

2) I contenuti reali del progetto. Si è parlato di IKEA ma il suo edificio occupava solo un terzo dell’intervento a destinazione commerciale (18.000 metri quadri di superficie di vendita), mentre per altre marche, ignote, distribuite in almeno cinque capannoni, erano previsti ben 36.000 metri quadri di superficie di vendita, quindi il doppio dell’IKEA. Inoltre erano pensati interventi per altre destinazioni. In particolare per residenze e servizi vari 11.500 metri quadri di superficie (più di 150 appartamenti di 75 metri quadri, per esempio) e 13.000 metri quadri riservati a percorsi espositivi e culturali, non meglio identificati. I parcheggi, per oltre 6.800 auto, avrebbero occupato circa 18 ettari di terreno, mentre a verde erano previsti 3,6 ettari, disposti ai margini dell’intervento. L’impressione è che il marchio Ikea, apprezzato in tutto il mondo, è stato utilizzato come una testa di ponte per un intervento a carattere più speculativo, di cui non era possibile valutare la reale portata. I grandi capannoni in sequenza avrebbero creato una periferia di grande impatto paesaggistico e ambientale, impatto non valutato approfonditamente nei progetti. Quando si parla di urbanistica più delle parole parlano i disegni e allora allego due immagini: a sinistra l’Ikea di Firenze presa e collocata a Migliarino, in un’area dove il Piano regolatore prevede trasformazioni urbanistiche; a destra il progetto nelle aree agricole che non è stato approvato.

Superata l’ipotesi di Migliarino è stata individuata una nuova area per Ikea nel comune di Pisa. Forse che il capoluogo è stato più deciso di Vecchiano? Non è così, sono cambiate alcune condizioni. È opportuno richiamarle, perché rappresentano anche in sintesi i motivi del precedente diniego:

-l’interlocutore è ora diretto, l’IKEA stessa e non un costruttore
-l’area di intervento è circa un terzo della precedente
-i terreni sono edificabili.


Giovanni Maffei Cardellini

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